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La forza e preparazione atletica, cosa dicono le sacre scritture (scientifiche)?

Chi fa sport sa bene che prima o poi, nella sua preparazione (se ben condotta), si scontrerà con il mesociclo di forza, cioè una fase della programmazione volta a migliore la forza muscolare appunto, utilizzando “carichi elevati per poche ripetizioni e poche serie” (passatemi la semplificazione). C’è chi la ama e chi la odia, chi la cura in maniera maniacale e chi si limita a dei 90%/3x3serie ma, al di là delle fazioni, a cosa serve esattamente l’allenamento della forza nello sport? Se per il pilone di una squadra di rugby la risposta è abbastanza semplice (banalmente, deve avere la forza per spingere contro i giocatori avversari), meno lo è forse per il giocatore di calcio, la pallavolista o lo schermidore ad esempio, sport dove manca magari il contatto fisico, qualcosa su cui sviluppare la forza. Un ciclo di specializzazione sulla forza può servire anche a loro? In generale, a che serve quindi l’allenamento della forza? Una bella review del 2016, “the importance of muscular strength in athletic performance”, ci dà una risposta precisa:

– ad incrementare le abilità sportive generiche come saltare, sprintare, cambiare rapidamente direzione
Il salto, lo sprint e il cambiamento rapido di direzione rappresentano alcuni tra i più comuni movimenti compiuti durante l’attività sportiva, qualsiasi essa sia, e l’abilità di compierli in maniera adeguata può essere un’importante determinante del risultato finale. Gli studi ci dicono che l’allenamento della forza produce adattamenti positivi che migliorano queste abilità, determinando quindi un potenziale transfer sull’attività sportiva.

– ad incrementare le abilità sport-specifiche e migliorare quindi la performance
La forza aumenta sì le abilità sportive generiche, ma il laboratorio non è il campo, la pedana o la pista. Bisogna capire se un aumento di forza corrisponde effettivamente ad un aumento di prestazione, altrimenti tutta l’impalcatura teorica crollerebbe e con essa la necessità di un allenamento mirato. La risposta della letteratura scientifica, come ci si potrebbe aspettare, è che, a parità di altre condizioni, gli atleti forti battono gli atleti deboli sia negli sport basati su forza e potenza (e questo è abbastanza intuitivo), ma anche, inaspettatamente, negli sport basati sull’endurance, la resistenza (come il ciclismo).

– a ridurre il tasso di infortuni
Oltre al miglioramento prestativo, la prevenzione degli infortuni rappresenta l’altro aspetto fondamentale della preparazione atletica: un atleta in infermeria è un atleta sostanzialmente inutile, che nulla apporta alla sua squadra. La ricerca ci dice chiaramente che l’allenamento della forza è in grado di ridurre l’incidenza degli infortuni probabilmente per un incremento della robustezza di tendini, legamenti, cartilagini articolari, ossa e tessuto connettivo intramuscolare.

Chi è sul campo da anni e ha una minima capacità di osservazione tutte queste cose le avrà già notate, non serviva di certo un articolo su Sports Medicine a ribadirglielo. Però so che lì fuori, sia tra atleti e allenatori, c’è ancora qualche remora ad utilizzare i sovraccarichi in allenamento e a farsi il “paiolo” quadrato in palestra. La paura di infortunarsi sotto il bilanciere, la paura di diventare “grossi e lenti” tiene in molti alla larga da uno strumento, l’allenamento della forza appunto, che invece, come ci dice la Scienza, se ben sfruttato, è di primaria importanza per la prestazione, sia direttamente migliorando le capacità generiche legate allo sport e la performance specifica che indirettamente prevenendo gli infortuni.

Insomma, per chi avesse ancora dei dubbi, è arrivato il momento di metterli da parte e incominciare a lavorare duro (e bene) anche con la ghisa. Come? Ne parleremo in un prossimo articolo, analizzando quella che è la mia esperienza con alcuni giocatori di rugby.

Keep on lifting!

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