By Luca Folliero
Per scrivere la serie di articoli sull’importanza della forza nella preparazione atletica mi sono ovviamente documentato. Infatti, nonostante abbia un’idea piuttosto precisa di come le cose vadano fatte, ho ritenuto utile guardarmi intorno, analizzando un po’ quello che è il panorama della preparazione atletica accademica e confrontando quindi la mia visione con quella dei preparatori (o presunti tali) in giro per il web. Mi sono tuttavia imbattuto in alcuni programmi che, dal mio punto di vista, erano del tutto incomprensibili. Ho tentato di studiarne le logiche che gli stavano dietro, ma più mi sforzavo e più arrivavo alla conclusione che quei numeri, di logica, non ne avevano. Laddove la volta scorsa ho descritto il mio approccio, voglio adesso analizzare invece i tre principali errori che, a mio parere, vengono commessi nel programmare la forza in una preparazione atletica. Ripeto, la forza, non la propriocezione, non la resistenza o la capacità aerobica, ma la forza. D’altra parte il nome della rubrica, “la Forza in pillole”, dovrebbe già essere piuttosto indicativa, ma sempre meglio rimarcare.
Errore 1: trattare esercizi diversi allo stesso modo
Magari non vi siete mai approcciati alle alzate olimpiche, ma non è difficile notare che uno strappo o una girata sono diversi da uno squat o uno stacco, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche per le capacità condizionali che li caratterizzano: semplificando ai minimi termini, da una parte abbiamo esercizi di potenza, dall’altra esercizi di forza massimale. Appare chiaro quindi come le due tipologie di esercizi vadano spesso trattate in modo diverso, allenate in modo diverso. Esistono sicuramente dei punti di contatto in una programmazione, ma quando vedo:
Strappo 80%/6,5,4,6,5,4
Squat dietro 80%/6,5,4,6,5,4
c’è qualcosa che non mi quadra: davvero esercizi così distanti possono essere ridotti agli stessi numeri? Ripeto, ci può stare che, in una preparazione, due esercizi possano arrivare a combaciare nello svolgimento, ma con questi numeri (visti realmente con questi miei miopi occhietti), faccio fatica a pensare ci sia una considerazione profonda sotto. Mi pare più una cosa del tipo “ho in mente questa progressione e ci aggiungo gli esercizi che sembrano giusti”, un ragionamento che non credo paghi, vista l’illogicità di fondo.
Aggiungerei inoltre che esiste una profonda differenza tra strappo e slancio, tra esercizi di gara e di assistenza, ma forse qui scendiamo troppo nel tecnico, fisime da allenatore di pesistica che giustamente (oppure no?) devono rimanere fuori da questo ambito.
In sintesi: esercizi con diverse necessità condizionali e che sviluppano abilità diverse, vanno allenati in maniera diversa per far sì che rendano davvero. E per evitare problemi all’atleta.
Errore 2: usare alte ripetizioni per gli esercizi della pesistica
Riprendendo sempre l’esempio di prima (che, ribadisco, corrisponde a realtà), cioè
Strappo 80%/6,5,4,6,5,4
mi chiedo se ci sia una persona sulla faccia del pianeta capace di portarsi a casa, in modo degno, 30 ripetizioni di strappo all’80%, ripartite in serie da 6, 5 e 4 ripetizioni. Ora, io non voglio fare il professorino e tirare fuori le varie tabelle di Prilepin, Rodionov, Medvedyed ecc ecc, però qualsiasi persona si sia approcciata alla pesistica sa che 6 ripetizioni, SEI, sono una condanna a morte, specialmente a quelle intensità. Con che brillantezza si eseguiranno le ultime ripetizioni? Se l’obiettivo di uno strappo è quello, banalizzando, di sviluppare la velocità, l’esplosività, come possiamo aspettarci che un atleta sia rapido alla quinta o sesta ripetizione di una serie? E alla trentesima di un allenamento? A che punto metterà in campo delle strategie di conservazione che finiranno per snaturare l’esercizio e il suo effetto? Non dico che in assoluto non si possa fare, in alcune programmazioni di pesistica, al termine di una progressione (tecnica e atletica), anche io mi diverto magari ad alzare le ripetizioni (se è necessario), però ricordiamo che stiamo parlando di una preparazione sportiva e in questo ambito l’uso di così alti volumi sulle alzate olimpiche mi sembra quantomeno… improprio.
Cosa? Utilizzare le alzate olimpiche ad alte ripetizioni per sviluppare resistenza? Sì, potrebbe essere un’idea, ma forse è un’idea migliore quella di usare altri esercizi più facili e legati ad un minor rischio per l’atleta: ricordiamoci che se durante la preparazione qualcuno si fa male, non tarderemo ad avere la punta della scarpa di un allenatore infilata in profondità nel sedere. Certi giocatori valgono soldi, molti soldi, e rischiare un loro infortunio per un’intuizione, un’idea, quando c’è qualcosa della medesima efficacia e maggior sicurezza, è forse un lusso che un preparatore non si può permettere.
In sintesi: le alzate olimpiche, per avere la massima efficacia, devono seguire quei canoni che da anni guidano l’allenamento delle alzate olimpiche. Mi riferisco proprio alle varie tabelline sovietiche, citate prima, che facilmente si trovano su internet. Andare al di fuori di quelle linee guida, se non per motivi particolari, comporta una diminuzione dell’efficacia dell’allenamento. E un aumento del rischio di infortuni.
Errore 3: partire pesanti e progredire ancora più pesanti
Raffiguriamoci questa situazione: il giocatore ha concluso la sua stagione agonistica, sarà estremamente stressato, magari fisicamente acciaccato, ed è giusto che si prenda un periodo di stop, per recuperare mentalmente e leccarsi le ferite. È un qualcosa di assolutamente normale, anzi, fortemente consigliato, giusto? Bene, come possiamo pensare che questo giocatore, al suo rientro in campo, sia pronto a spingere come un ossesso, da subito? Ci vorrà un periodo di adattamento, un periodo in cui riprenda confidenza con gli esercizi in palestra e con i carichi, no? Mi è capitato invece di vedere programmi per l’offseason che partivano subito con intensità e volumi elevati, ponendo a mio avviso l’atleta davanti ad uno scoglio psicologico e alla seria possibilità di farsi male.
Il rientro in palestra di un infortunato o comunque di qualcuno che è stato ai box per un po’, deve essere sempre cauto e attentamente progettato. Ci vuole un po’ di pazienza per riprendere la forma, la brillantezza “di un tempo”, è inutile schiacciare l’acceleratore da subito. Per questo il consiglio è quello di aumentare il carico di lavoro in maniera graduale, partendo da intensità, volumi e frequenze di allenamento basse e alzarle piano piano, almeno fino a quando il nostro atleta non avrà recuperato la “fitness sportiva” che fu. A quel punto si potrà cambiare marcia e spingere un po’ di più sull’acceleratore, fermo restando che il top di forma deve essere raggiunto nel medio-lungo periodo, non nel raduno estivo. Sì perché un altro problema è quello delle progressioni ripide, per presentarsi in pre-season tirati a lucido. Mah, e poi che si fa? Eliminiamo tutta la fase di precampionato allora, tanto i giocatori sono già pronti a correre e picchiarsi! Io credo che l’off-season abbia come finalità quella di preparare il fisico ai (spesso estenuanti) carichi di lavoro sul campo, oltre che in palestra. Non mi pare abbia molto senso la corsa spasmodica alla prestazione durante questa fase iniziale. Certo, qualche test in itinere può essere fatto ma non deve essere una valutazione dello stato di forma assoluta del giocatore, quanto più un modo per capire come questo reagisca all’allenamento e valutare eventuali problematiche così da avere poi tutto il tempo per correggerle.
In sintesi: un atleta dopo una pausa deve affrontare dapprima un periodo di riatletizzazione e solo dopo, quando in bolla, incominciare a tirare. Non affrettiamo però i tempi, la stagione è lontana e il picco di forma va raggiunto gradualmente.
Ecco, questi sono tre elementi critici, a mio modo di vedere, dell’allenamento della forza in off-season. Criticità che, indipendentemente dal grado di preparazione culturale, possono essere affrontate con semplice sale in zucca: si tratta di avere cura per i proprio atleti, ne più, né meno.